Monday, May 22, 2017

Lettera a Marchionne, uno tra i tanti.

Ma sì, Marchionne, licenzia, strappa, sconta, abbassa, piega, riduci, martella, umilia, abbaia, mordi, ma fatti vedere, lasciati però guardare, alza quel mento ingollato, mostra quegli occhi piccoli e vispi come quelli di una rana in un pozzo angusto e immensamente profondo: non uno di quei pozzi verdi e pieni di vita da cui risuona un eco buono e fuoriesce un odore di fresche acque, ma il pozzo in cui stanno, da sempre, tutti quelli come te, un antro in cui non c’è nulla di vivo, ma solo radici avvizzite, terra secca e bruciata ed acque maleodoranti, un pozzo dove possono celarsi le larve che annientano e si annidano quelli che sanno solo divorare. Sì, Marchionne, tu che hai fatto virtù della servitù e servitù della virtù, succhia la linfa dagli uomini, togli loro tutto quello che puoi e prendi, per te, con egual misura. Ingozzati e mostrati servile e fedele a coloro che ti mettono in mano il bastone e sbraita contro tutti quelli che non si umiliano davanti al padrone o alla tua livrea di cartapesta. Servile discendente di quella lunga e sconcertante genia di coloro che sono compari sorridenti di quelli che sono sempre nemici degli esseri umani. Rigetta tutto tranne le prebende, mostra al mondo come sanno essere capaci gli esecutori, come sono bravi ad obbedire per tornaconto ed a respingere qualunque dubbio e domanda arrivando a costruire una ragione cosmica, bieca e contorta, che fuoriesce dal pozzo maleodorante di antiche ignominie. Tu che insegni a fare del mors tua vita mea un principio finissimo e, per questo, ti premiano svergognando persino il nome di un grande vero come fu Pico della Mirandola. Fatti vedere Marchionne, fatti rimirare con il maglioncino nella tua bella villa di Blonay, facci osservare che aspetto ha il successo amaro, quello che si ottiene togliendo ad altri e si mantiene attorniandosi da altri esecutori e servitori, un presunto successo che bisogna proteggere ergendo mura di ogni genere; il “successo” di chi sa solo togliere e costruire castelli di carte e belle parole. Che cattivo sapore che ha, da sempre, il trionfo di quei tanti come te. Mostrati, ti prego, mostrati ancora, fai vedere questi tuoi movimenti flaccidi e squamosi, il tuo profilo piatto e la tua fronte stretta che assomiglia a quella di tantissimi tuoi compari che tanto hanno trionfato nel mondo, oggi come ieri, perché un giorno, se la nostra specie umana ritroverà mai la dignità e la vita che le appartiene, potremo guardare a questa tua faccina paffuta come si guarda ad una vecchia litografia sbiadita e magari esclamare: “eccolo! Guardate questa faccetta infinitamente mediocre e imparate, da quello sguardo, come non si deve mai esser uomini”.